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Kalifa Soumahroro è uno dei testimoni dello sfruttamento in Calabria e ci racconta la sua storia: “Sono fuggito dal mio paese, la Costa d’Avorio a causa della guerra. Lì lavoravo per una società francese del settore agroalimentare. Avevo la mia famiglia, la mia casa ma la guerra mi ha costretto a fuggire. Dell’Italia sapevo solo che aveva vinto i mondiali di calcio, sono approdato nel vostro paese per povertà e miseria”. L’Italia era la terra promesse per Kalifa arrivato prima a Foggia, poi a Crotone e, infine, a Rosarno tramite altri conoscenti immigrati. La sua dimora, da allora, diventa una vecchia fabbrica abbandonata. Lì troverà altri immigrati del Burkina Faso, del Mali, del Marocco. Molti regolari, tanti con il solo permesso di lavoro. 1500 persone stipate, ammassate, dalla precarie condizioni igieniche, senza acqua calda, senza un letto o un pasto caldo.
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La cacciata dall’inferno, scortato dalla Polizia, è raccontata come una liberazione da Kalifa. Seguirà l’approdo a Roma, dove tramite un’associazione di carità riuscirà ad ottenere il permesso di soggiorno, a Napoli come vucumprà e a Cuneo dove oggi lavora nei campi per la raccolta delle mele o delle pesche, “ma a condizioni migliori”, precisa. L’Italia che ha visto Kalifa è quella che, secondo i dati riportati nel documentario, a fronte di 350 mila clandestini nel 2009 spende solo 150 milioni di euro per politiche di integrazione ed accoglienza.
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“Gli immigrati non sono oggetti delle emergenze e dei problemi, ma sono soggetti che vivono, soffrono, sorridono, godono, faticano, riflettono, decidono. Ma per farlo devono prima di tutto lottare contro la superficie della loro condizione pubblica, non privata, non soggettiva di immigrato”, dice Andrea Segre, regista del documentario.
A Rosarno, secondo Silvia Pescivolo, responsabile del Coordinamento nazionale Rifugiati di Amnesty International, “la raccolta delle arance sta per ripartire mentre non sono partiti i tanti progetti di accoglienza destinati ai migranti”.
Secondo Stranieriinitalia.it “al momento l’unico progetto ufficiale, riconosciuto dal governo, è “Obiettivo 2.5”. Si tratta di un piano che prevede di trasformare il cementificio della Beton Medma, confiscato alla mafia, in un edificio da 60 posti letto con spazi annessi da dedicare all’intrattenimento e la formazione degli immigrati e dei loro famigliari. Il progetto è indubbiamente ambizioso ma lo stato dei lavori denunciano un ritardo sostanziale e il termine non è previsto primo del prossimo anno”.
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“Il sangue verde” un risultato lo ha già prodotto: sul web è nato l'Osservatorio Braccianti, un portale che ospita le segnalazioni e le notizie relative alle condizioni dei lavoratori agricoli immigrati in Italia. Il servizio offre una visione geografica aggiornata del fenomeno, che può essere direttamente implementata da chiunque abbia informazioni, testimonianze, foto, video da segnalare, per la propria osservazione diretta del fenomeno, o provenienti da testate giornalistiche, tv, weblog e siti informativi.
Gli immigrati che erano a Rosarno con Kalifa, quelli del documentario, non sono più a Rosarno; molti sono nel Lazio, in Campania, altri sono migrati all’estero. Kalifa non criminalizza il nostro paese per ciò che gli è accaduto e, alla fine del nostro incontro, aggiunge anche che potrebbe trattarsi del suo “paese d’arrivo definitivo”. E’ convinto che la rivolta di Rosarno abbia già prodotto dei risultati tra gli immigrati che vivono in Italia, che la “caccia al nero” non sarà per sempre. Vorremmo crederci anche noi.
Post originale da Partenze e Arrivi
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